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M.O.V.M. ARDUINO
FORGIARINI |
Arduino FORGIARINI -
Elettricista
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Medaglia d'oro al Valor Militare alla
memoria
Osoppo (Udine) il 24 agosto 1918
- Mar Rosso, 27 giugno
1940
Imbarcato
su sommergibile impiegato in acque lontane e fortemente
insidiate, benché leggermente minorato per intossicazione da gas
sin dall'inizio della missione, dava instancabilmente la propria
opera per tutta la durata dell'ardua operazione e dimostrava
entusiasmo, capacità e coraggio ammirevoli.
Durante impari combattimento sostenuto dall'unità
incagliata contro siluranti nemiche, anziché allontanarsi come
ordinatogli, perché non necessario l'impiego delle armi, rifiutò
con serena semplicità di abbandonare il sommergibile finché vi
fosse restato il Comandante e lo aiutò calmo e sorridente sotto
il fuoco concentrato del nemico. Colpito in pieno da proiettile
di artiglieria cadde su quel lembo di Patria da cui non aveva
voluto staccarsi, immolando la giovane vita nell'adempimento
cosciente e coraggioso del dovere cui si era dedicato con tutto
lo slancio del suo animo valoroso, esempio delle più elette
virtù militari e morali.
Nacque a Osoppo (Udine) il 24 agosto 1918.
Volontario nella Regia Marina dal 1938, fu assegnato alla
categoria Elettricisti, frequentando poi il Corso di
specializzazione presso la Scuola di Marina a San Bartolomeo (La
Spezia), al termine del quale imbarcò sul sommergibile Finzi.
Nel dicembre dello stesso anno passo sul
sommergibile Perla, dislocato in Mar Rosso, con il quale il 27
giugno 1940 sostenne un impari combattimento contro soverchianti
forze di siluranti di superficie nemiche che costrinsero l'unità
ad incagliarsi sulla costa per i gravi danni subiti
nell'attacco.
Benché menomato per intossicazione di gas, Arduino
Forgiarini prestò instancabilmente la propria opera per tutta la
durata dell'azione e, anziché allontanarsi dal posto di
combattimento come ordinatogli, rifiutò con serena semplicità
l'abbandono dell'unità finché, mortalmente colpito, cadde su
quel lembo di Patria che non aveva voluto abbandonare.
Fonte: Marina Militare
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CASERMA "ARDUINO FORGIARINI" |
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La caserma di Tauriano è l’unica sede
dell’Esercito intitolata ad un eroe della Marina Militare.
Fu
consegnata all’amministrazione militare nel 1964 e
definitivamente completata nel 1968. |
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SOMMERGIBILE PERLA |
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Il Sommergibile PERLA era il primo di
una serie di dieci battelli (la serie “PERLA”, appunto), a sua
volta appartenente alla più ampia classe “600” di sommergibili
costieri.
Questa serie, ben riuscita come tutta la classe “600”, era stata
realizzata negli anni ‘35 e ’36 dai Cantieri CRDA di Monfalcone
(GO) (6 unità) e dai Cantieri OTO di Muggiano (SP) (4 unità).
Il PERLA apparteneva a quelli di Monfalcone ed era stato
impostato il 31 agosto 1935, varato il 3 maggio 1936 e
consegnato alla Marina l’8 luglio dello stesso anno. |
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Le sue caratteristiche tecniche
erano:
carena: tipo “Bernardis” a semplice scafo, con controcarene
esterne
profondità max.: 80 m, con coefficiente di sicurezza 3
dislocamento: 697 t (in superficie) - 856 t (in immersione)
dimensioni: 60,18 m (lunghezza) – 6,45 m (larghezza) – 4,71 m
(pescaggio)
potenza app.to motore: 1.400 HP (superficie) - 800 HP
(immersione
velocità max.: 14 nd (superficie) - 7,5 nd (immersione)
autonomia: 5.200 mg a 4 nd - 2.500 mg a 12 nd (in superficie);
74 mg a 4 nd - 7 mg a 7,5 nd (in immersione)
armamento: 6 tubi lanciasiluri da 533 mm (4 a prora e 2 a
poppa); 1 cannone da 100 mm / 47 calibri;
4 mitragliere antiaeree singole da 13,2 mm
equipaggio (tabella): 44 persone (di cui 4 ufficiali)
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Ecco, in sintesi, la sua storia.
All’entrata in servizio (8.7.36), il PERLA è assegnato al 1°
Gruppo Sommergibili (GRUPSOM UNO), con sede alla Spezia.
Nel 1938, mantenendo l’appartenenza al GRUPSOM UNO, viene
dislocato in Mar Rosso, assegnato alla “Flottiglia Sommergibili
in Africa Orientale Italiana” di base a Massaua, alle dipendenze
del “Comando Superiore Navale in A.O.I.” (MARISUPAO). La
flottiglia è costituita da otto battelli, distaccati da diversi
Gruppi metropolitani.
Nella primavera del ’39, assieme al Sommergibile GEMMA, svolge
una missione addestrativa in Oceano Indiano, per valutare il
comportamento del battello in quelle acque nel periodo dei
monsoni. Il rapporto di missione non è incoraggiante: difficoltà
a tenere il mare (forza 9) e impossibilità a far uso delle armi
in superficie; ma, soprattutto, conferma della pericolosità (già
sospettata ma non sicuramente riconosciuta, nel ’37, su alcuni
battelli durante la Guerra Civile spagnola) del cloruro di
metile, un gas tossico inodore ed incolore, impiegato
nell’impianto di condizionamento dell’aria.
Successivamente, sempre nel ’39, il PERLA rientra in Italia per
un periodo di lavori.
Quando l’Italia entra nella 2ª G.M. (10.6.40), il Sommergibile
PERLA è nuovamente a Massaua. Gli altri battelli della
flottiglia sono: ARCHIMEDE, FERRARIS, GALILEI, GALVANI,
GUGLIELMOTTI, MACALLÈ e TORRICELLI.
Il 19 giugno ’40 il PERLA, al comando del Capitano di Corvetta
Mario POUCHIN, parte per la sua prima missione di guerra, per
portarsi in agguato nel Golfo di Tagiura fino al 9 luglio. Ben
presto l’impianto di condizionamento comincia a funzionare non
correttamente e la temperatura a bordo sale rapidamente. Il
giorno 21 si decide di pulire i filtri dell’impianto, pur
sapendo che ciò comporterà la fuoruscita di una certa quantità
di gas, giudicata però sopportabile. Invece, il giorno
successivo, cinque uomini mostrano sintomi di intossicazione.
L’Uff. in 2ª dà segni di squilibrio mentale. Comunque, il
Comandante decide di continuare la missione e la sera del 22
raggiunge la zona di agguato.
Nel frattempo, a Massaua è rientrato il Sommergibile FERRARIS
con l’equipaggio intossicato. A questo punto, il Comando
(MARISUPOA) ordina al PERLA l’immediato rientro alla base.
Il giorno 24, già sulla rotta di rientro, metà dell’equipaggio è
inefficiente e molti uomini devono essere legati. Nelle ore
diurne il battello rimane posato sul fondo e la temperatura sale
oltre i 60°.
Il giorno 26 muore un marinaio e il Comandante, anch’egli
intossicato, decide di emergere prima del tramonto per forzare
l’andatura e raggiungere Massaua quanto prima; ma, avvistato
dallo sloop inglese SHOREHAM, è costretto ad immergersi
nuovamente e, sotto gli attacchi, a compiere numerose manovre
evasive. Per effetto delle forti correnti in quota, il battello
perde il controllo della posizione e quando, nella notte,
emerge, con l’80% dell’equipaggio intossicato, finisce per
incagliarsi nei pressi di Ras Cosar, dodici miglia a sud di Shab
Shak.
Il giorno 27, mentre si tenta il disincaglio, sopraggiunge una
formazione navale nemica, costituita dall'incrociatore
neozelandese LEANDER e dai cacciatorpediniere inglesi KINGSTON e
KANDAHAR, che danno subito inizio ad un intenso
cannoneggiamento. Il PERLA reagisce col suo cannone, fino a
quando questo si inceppa. Allora il Comandante, per non esporre
l’equipaggio a morte certa, ordina l’abbandono del battello.
Egli rimane a bordo. Il marinaio elettricista Arduino FORGIARINI
si rifiuta di lasciare il Comandante, ma subito dopo viene
colpito in pieno da una granata e muore. Alla Sua memoria verrà
conferita la Medaglia d'Oro al Valor Militare. L’Uff. in 2ª,
Tenente di Vascello Renzo SIMONCINI, che era stato trasportato a
terra gravemente intossicato, sentendo prossima la fine si
trascina, non visto, di nuovo sul battello e spira abbracciato
all’asta della bandiera. Muoiono altri 13 uomini.
A questo punto, quando il sommergibile sembra ormai perduto,
intervengono otto bombardieri “S.81” dell’Aeronautica
dell’A.O.I. che costringono le navi a desistere dall’attacco.
Nei giorni seguenti, una spedizione di soccorso inviata da
Massaua raccoglie i superstiti sulla spiaggia, mentre tecnici ed
operai, lavorando di notte per sfuggire al controllo aereo del
nemico, riparano le avarie e rimettono il battello in condizioni
di galleggiare. Preso a rimorchio, il giorno 20 luglio il PERLA
rientra a Massaua, dove viene sottoposto a sommari lavori di
riparazione, data la modesta potenzialità della base.
La precisione con la quale, nei primi giorni di guerra, gli
inglesi localizzarono i battelli italiani (solo in quell’area,
oltre al GALILEI catturato, si persero altri tre battelli: il
GALVANI, il TORRICELLI e il MACALLÈ) viene correntemente
attribuita al fatto che essi, con la cattura del GALILEI,
avvenuta in drammatiche circostanze il 20 giugno del ’40 nelle
acque di Aden, sarebbero venuti in possesso dei cifrari italiani
e degli ordini di operazioni relativi agli altri battelli in
mare in quello stesso periodo. Questa tesi trova riscontro anche
nel rapporto britannico sull’affondamento del Sommergibile
GALVANI. Tuttavia, per diverse considerazioni (principalmente
per la concorde testimonianza di vari Comandanti di
sommergibili, i quali asseriscono di non aver mai trovato, negli
ordini di operazioni loro assegnati, indicazioni relative ad
altri battelli; indicazioni, peraltro, del tutto superflue
almeno quando le rispettive zone di operazioni erano distanti
fra loro, come nella circostanza in questione), oggi si ha
motivo di ritenere che gli inglesi, indipendentemente dalla loro
ormai provata capacità di decrittare i messaggi italiani e
tedeschi mediante l’organizzazione “ULTRA”, disponessero di
altre fonti di informazione, anche in Africa, ma che,
ovviamente, avessero convenienza ad accreditare la tesi della
cattura dei documenti sul GALILEI, per non compromettere tale
favorevole situazione. Infatti, divulgando prontamente per
radio, come fecero il giorno 22 giugno, la notizia della cattura
del GALILEI, essi avrebbero provocato l’immediata sostituzione
dei cifrari da parte degli italiani, che così si sarebbero
ritenuti al sicuro dal pericolo di decrittazioni. Negli archivi
inglesi, ormai aperti (ma proprio tutti …), non si trova
riscontro a tali considerazioni, ma ciò di per sé non inficia la
loro verosimiglianza, tenuto conto che la documentazione oggi
disponibile fu scritta allora, quando ragioni di intelligence
potevano indurre, in certi casi, a falsare o a sottacere la
verità. E tali ragioni potrebbero persistere anche dopo la
formale apertura degli archivi.
Nel gennaio del ’41, quando comincia a delinearsi la necessità
di evacuare Massaua sotto la pressione degli inglesi,
SUPERMARINA prende in considerazione la possibilità di salvare
dalla cattura o dall’autoaffondamento i quattro sommergibili
colà rimasti, inviando in Giappone i battelli oceanici
ARCHIMEDE, FERRARIS e GUGLIELMOTTI e di fare internare in
Madagascar il PERLA, che non ha autonomia sufficiente per unirsi
ai primi tre. Più tardi, invece, d’accordo con l’Amm. DÖNITZ, si
decide di tentare il trasferimento di tutti e quattro i battelli
a Bordeaux, sede di BETASOM, il Comando dei Sommergibili
Italiani in Atlantico.
L’impresa (non facile, specialmente per il PERLA: si tratta di
una navigazione senza scalo di circa 13.000 miglia!) viene
preparata in gran segreto. Con la Marina tedesca si pianificano
i rifornimenti in mare: uno, per il solo PERLA, a sud del
Madagascar, a cura dell’incrociatore ausiliario ATLANTIS (che,
in quella circostanza, assumerà il nome di TAMESIS) e uno per
tutti e quattro i battelli al centro dell’Atlantico meridionale,
a cura della petroliera NORTHMARK. Mentre i tre battelli
oceanici avrebbero seguito una rotta passante per il canale di
Mozambico e, in Atlantico, a ponente delle isole del Capo Verde
e delle Azzorre, il PERLA sarebbe passato a levante del
Madagascar fino all’appuntamento con l’ATLANTIS (ovvero:
TAMESIS) e, in Atlantico, a ponente delle isole del Capo Verde
ma a levante delle Azzorre, accorciando così notevolmente
l’ultimo tratto di navigazione prima dell’arrivo a Bordeaux.
Così, alleggerito di tutto quanto non indispensabile (compresi i
siluri di riserva) e privato di una parte dell’equipaggio per
far posto a viveri e combustibile, con l’ordine di astenersi da
qualsiasi azione di guerra, il 1° marzo 1941, al comando del
Tenente di Vascello Bruno NAPP (che nel dicembre ’40 aveva
sostituito il Comandante POUCHIN), il Sommergibile PERLA lascia
Massaua e affronta la traversata verso Bordeaux.
A parte il mare grosso in Oceano Indiano, che rende difficoltosa
la navigazione, anche perché il battello naviga con un solo
motore termico per risparmiare nafta, il trasferimento del PERLA
si svolge senza particolari problemi. Arriva a Bordeaux il 20
maggio ’41, dopo 81 giorni e 13.100 miglia di navigazione. Anche
gli altri battelli compiono felicemente l’impresa, giungendo a
Bordeaux con qualche giorno di anticipo, fra il 7 e il 9 maggio.
A Bordeaux il PERLA, non essendo adatto alla guerra in
Atlantico, rimane inattivo in attesa di essere ridislocato,
insieme ad altri battelli, in Mediterraneo, dove la situazione
richiede una maggior presenza di sommergibili. Il 20 settembre
’41 il battello lascia Bordeaux, il 28 attraversa lo Stretto di
Gibilterra (in superficie, randeggiando la costa africana) e
giunge a Cagliari il 3 ottobre.

Da questa base comincia per il PERLA la durissima guerra in
Mediterraneo, fatta di estenuanti agguati e scarsi risultati
poiché, a differenza dell’Atlantico, il traffico mercantile è
limitato e comunque sempre fortemente scortato. Dal 12 al 23
febbraio ’42 è in agguato lungo le coste cirenaiche. Al rientro
da questa missione, il comando del PERLA è assunto dal Tenente
di Vascello Giovanni CELESTE.
Nei periodi dal 29 marzo al 9 aprile e dal 16 al 28 aprile è in
agguato a sud-ovest di Gaudo (Creta).
Dal 10 al 24 maggio ’42 è in agguato al largo di Capo Kelibia
(Tunisia). Il giorno 11 lancia due siluri contro il posamine
veloce WELSHMAN, senza colpirlo. Dopo questa missione, il PERLA
passa al comando del Tenente di Vascello Gioacchino VENTURA.
Il 6 luglio parte per portarsi in agguato nelle acque di Cipro.
Il giorno 9, mentre pattuglia il mare al largo di Beirut,
avvista la corvetta inglese HYACINTH e la attacca con il lancio
di due siluri. Con pronta manovra la corvetta evita i siluri e
attacca il PERLA con intenso lancio di bombe di profondità.
Seriamente danneggiato, è costretto ad emergere. Il Comandante
ordina all’equipaggio di abbandonare il battello,
predisponendolo per l’autoaffondamento. Tuttavia, forse per la
mancata apertura di qualche sfogo d’aria danneggiato dai
precedenti bombardamenti, il battello affonda troppo lentamente,
consentendo così ad alcuni uomini della HYACINTH di salire a
bordo e di interrompere l’affondamento. Il PERLA viene così
catturato e rimorchiato a Beirut.
Ribattezzato P.712 dagli inglesi, viene ceduto alla Marina greca
che, con il nome di MATROZOS, lo mantiene in servizio fino al
1954.
I Caduti del Sommergibile PERLA sono:
durante il combattimento del 27 giugno 1940
Ten. Vasc. Renzo SIMONCINI, Uff. in 2^
2°C° Ignazio LANCITO (o Lacinto)
Sgt. Giovanni BATTELLINI
Sc. Francesco PAPPALARDO
Com. Pasquale ARENA
Com. Carlo BRACCO
Com. Giovanni DE GRANDIS
Com. Carmine DE FALCO (o Di Falco)
Com. Stefano DONGIOVANNI
Com. Fausto DORIA
Com. Arduino FORGIARINI, Med. d’Oro al Valor Militare (alla
Memoria)
Com. Michele FRANCAVILLA
Com. Giuseppe VALENTINO
Com. Aurelio VIRGINIO
Com. Giuseppe VIRGONA
durante il combattimento del 9 luglio 1942
Sgt. Antonio DE MARIA
Onore a Loro!
Fonte: sommergibili.com
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SOMMERGIBILE PERLA - CLASSE
"600" |
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Perla apparteneva alla classe “600”, una classe di piccoli
battelli cosiddetti “costieri” che stazzavano non più di 600 t.
di dislocamento in superficie.
Erano ottimi battelli, ben suddivisi internamente, robusti, e
manovrieri, anche se non particolarmente veloci in superficie.
Erano inoltre costruibili in grande quantità anche da
un’industria navale non particolarmente all’avanguardia, com’era
quella italiana dell’epoca: infatti ne vennero costruiti ben
cinquantanove, suddivisi in quattro serie, con pochissime
varianti l’una dall’altra.
Perla fu il primo di una serie di dieci unità i cui nomi si
riferivano tutti alle pietre cosiddette “dure”, semipreziose:
infatti i suoi gemelli furono Gemma, Berillo, Diaspro, Turchese,
Corallo, Ambra, Onice, Iride, Malachite.
La Storia…
Perla fu varato a Monfalcone il 3
maggio 1936 e l’8 luglio dello stesso anno entrò in servizio.
Venne dislocato ad Augusta nell’ambito della 35° Squadriglia
Messina. Effettuò due crociere addestrative; la prima nel 1936
che lo portò a toccare vari porti del Mediterraneo, mentre
durante la seconda (1937) operò prevalentemente in porti
nazionali con rientro a Taranto da dove, nel 1938 venne inviato
in Mar Rosso per l’addestramento nel clima caldo. Rientrò in
Italia per un anno e nel 1940, quando scoppiò la guerra, lo
ritroviamo dislocato a Massaua, al comando del TV Mario
Pouchain.
Secondo le direttive iniziali, Perla sarebbe dovuto rimanere a
Massaua durante le prime settimane di guerra in turno di riposo,
ma il viceré Amedeo d’Aosta, in previsione di un’ampia azione
terrestre contro la Somalia francese e britannica, chiese che
fossero dislocati in zona operazioni due sommergibili in più di
quelli già previsti. L’Ammiraglio Balsamo, Comandante della Base
di Massaua non ebbe difficoltà ad aderire alla richiesta e
designò per i nuovi agguati Perla e Archimede.
Perla lasciò Massaua nel pomeriggio del 19 giugno 1940 per
portarsi nella zona operazioni assegnata, nel Golfo di Tagiura,
entro un raggio di 15 nm. da Ras-El Bir: il suo compito era
attacco ad unità da guerra e navi mercantili. Avrebbe dovuto
rimanere in zona operazioni fino al 9 luglio, fatta salva la
facoltà del Comandante di rientrare alla base prima del previsto
se lo avesse ritenuto opportuno.
Dopo aver navigato in superficie sulla rotta di sicurezza del
canale sud di Massaua, nella notte tra il 19 ed il 20 giugno,
all’alba Perla si immerse e proseguì la navigazione in
immersione.
Alle h.11.00 ci fu il primo incidente: un elettricista fu preso
da un colpo di calore; venne curato con frizioni di ghiaccio, ma
non riuscì a riprendersi del tutto e rimase in precarie
condizioni fisiche per tutta la durata della missione. Sul
momento il Comandante non dubitò che il malessere
dell’elettricista potesse essere attribuito all’elevata
temperatura che regnava all’interno del battello anche a causa
del cattivo funzionamento dell’impianto di condizionamento
dell’aria e ritenendo che qualche filtro potesse essere
otturato, ordinò che si procedesse sia alle verifiche che alla
manutenzione dell’impianto.
Pouchain era conscio che l’operazione avrebbe sicuramente
provocato qualche perdita di cloruro di metile, ma secondo i
dati tecnici in suo possesso, le conseguenze che il fluido
refrigerante poteva avere sulla salute dell’equipaggio avrebbero
erano minime; avrebbero potuto essere gravi solo a tassi
talmente elevati da non poter essere raggiunti neppure se il gas
dell’intero impianto si fosse scaricato completamente
all’interno del battello. Poi era sua ferma intenzione portare a
termine ad ogni costo la missione assegnata… |
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PRIMA MISSIONE |
La pulizia, un lavoro che doveva essere semplice e rapido, venne
effettuata nella notte del 21 giugno, con il battello in
emersione per minimizzare al massimo i rischi: ma subito cinque
uomini dell’equipaggio si sentirono male. All’alba comunque
Perla si immerge, e durante la giornata altri marinai si
ammalarono, mentre la sintomatologia di coloro che si erano
sentiti male il giorno precedente andò peggiorando; iniziarono a
manifestare i primi sintomi di malessere psichico. Il giorno
successivo anche il TV Simoncini, ufficiale in seconda ed altri
uomini iniziarono a dare segni di alterazione mentale.
Vengono sistemati nella camera di lancio a prora, curati alla
meglio dal capo siluro che comunque dura fatica a trattenerli,
perché molti di loro stanno iniziando a dare segni di completa
pazzia.
Al tramonto del 22, comunque Perla emerge e si porta nella sua
zona di agguato; il Comandante è fermamente deciso ad eseguire
la sua missione, nella speranza che gli ammalati opportunamente
curati si riprendano.
La giornata del 23 giugno trascorre senza nessun avvistamento.
Nel frattempo a Massaua era rientrato Ferraris, con l’equipaggio
semi avvelenato dal cloruro di metile, per cui l’Ammiraglio
ordina anche a Perla di rientrare immediatamente alla base.
La navigazione di rientro ha inizio nella notte del 24, quando
oramai le condizioni dell’equipaggio sono divenute gravemente
preoccupanti.
Nella giornata successiva anche il Comandante ed il Direttore di
macchina si ammalano; ormai più di metà dell’equipaggio sta
molto male ed alcuni uomini devono essere addirittura legati.
Nelle ore diurne, durante le quali il battello è costretto a
rimanere posato sul fondo, la temperatura interna sale sino a
raggiungere i 64°…la situazione è tragica, ma fortunatamente
Perla riesce ancora a passare inosservato per lo Stretto di
Bab-el- Mandeb.
Il 26 giugno la situazione precipita, un marinaio muore e molti
altri sono pressoché agonizzanti: a chi sta peggio vengono
praticate iniezioni di olio canforato, e sulle prime si ha
l’impressione che il rimedio porti un qualche miglioramento, ma
si tratta più che altro di suggestione.
Intanto il Comandante, nel comunicare a Massaua la posizione
stimata chiede l’accensione del faro di Sciab Sciach, necessario
per orientarsi sulla rotta di rientro: non è da escludere che
sia stata tale trasmissione r.t. ad attirare l’attenzione del
nemico ed a rivelare la posizione del sommergibile... Le ore
diurne trascorrono come al solito in immersione, ma ancora prima
del crepuscolo, il Comandante, considerate le condizioni
dell’equipaggio, decide di non attendere l’oscurità per venire a
galla…mentre è ormai prossimo il tramonto Perla emerge… Il
Comandante sta malissimo e non ha più la forza di muoversi,
quindi non riesce a salire in torretta. Vi salgono l’STV
Vincenzi ed il GM Gallo i quali, contrariamente a quanto la
stima faceva prevedere, non avvistano terra…avvistano però un
cacciatorpediniere inglese che dirige a tutta forza verso di
loro!
Non resta che ordinare l’immersione rapida ed il Comandante,
raccogliendo le poche forze si precipita in camera di manovra
per dirigerla personalmente, con l’aiuto dei pochi uomini ancora
validi, i quali devono anche occuparsi dell’assistenza ai
malati.
Il sommergibile si posa sul fondo, a 24 metri, mentre il ct.
nemico inizia a lanciare bombe di profondità; dal battello si
registrano alcuni scoppi piuttosto vicini, altri più lontani, si
lamenta qualche avaria, ma fortunatamente i danni sono limitati.
Il nemico desiste presto e dopo un paio d’ore trascorse sul
fondo, Perla può riprendere la navigazione, in immersione e con
una rotta che lo porta verso la costa. Dopo alcuni minuti il
Comandante ordina l’emersione, ma non vedendo ancora terra
continua navigare per ponente allo scopo di avvistare il faro di
Sciab Sciach o almeno un punto di terra che gli permetta di
determinare la posizione... Non è possibile stabilire per quanto
tempo Perla navigò per ponente, ma non dovette essere per molto,
perché ad un certo momento il C.te Pouchain, preoccupato di
avvicinarsi troppo alla costa (che peraltro ancora non si
vedeva), ordinò di accostare in fuori: fu proprio al termine
dell’accostata, ad un’ora imprecisata della sera del 26 giugno,
che il sommergibile incagliò: effettivamente si trovava a 20 nm.
da Sciab Sciach, nei paraggi di Ras Cosar.
Dalle deposizioni rilasciate successivamente alla Commissione
d’inchiesta e dalla relazione di quest’ultima appare chiaro come
al momento dell’incaglio solo pochi membri dell’equipaggio
avevano ancora integre le loro facoltà fisiche e mentali; gli
altri erano tutti in stato di incoscienza, totale o parziale
compreso il Comandante.
Quest’ultimo riuscì comunque ad informare Massaua dell’accaduto
e della drammatica situazione in cui si trovava il sommergibile.
E questo è uno dei pochi dati su cui ci sono certezze di questi
momenti confusi… Nella mattinata del 27 giugno intanto, Pouchain
si sentiva un po’ meglio e con alcuni membri dell’equipaggio,
tentò il disincaglio del sommergibile: mise i motori a tutta
forza indietro, alleggerì di tutto quanto possibile il battello,
ma nessun tentativo ebbe successo… Perla rimase lì, dove si era
incagliato, e non restò altro da fare che telegrafare nuovamente
a Massaua per chiedere aiuto ed informare che il 90%
dell’equipaggio era intossicato dal cloruro di metile.
Ricevuto il messaggio, dalla base mandarono in soccorso la
torpediniera Acerbi, coadiuvata dai cacciatorpediniere Leone e
Pantera; ma Leone ebbe presto un’avaria e così restò solo
Pantera a far di sostegno alla torpediniera, per tentare il
disincaglio o se questo non fosse stato possibile, almeno per
salvare l’equipaggio.
H.12.30 del 27 giugno: l’Aviazione avvista una formazione navale
nemica diretta verso per Sciab Sciach e infatti, circa due ore
più tardi, Perla subì un nuovo attacco, da una distanza stimata
dai nostri di circa 10.000 m. Il sommergibile, pur così menomato
nel materiale e nel personale, reagì come poté, rispondendo al
fuoco nemico con il suo cannone da 100; contemporaneamente il
Comandante dava ordine di chiudere le porte stagne, distruggere
i documenti segreti e gettare in mare gli ammalati in modo che
potessero salvarsi a nuoto o con un battellino, affidanti alle
cure del STV Vincenzi. Durante il combattimento morirà
l’elettricista Forgiarini che, pur sofferente si era rifiutato
di buttarsi in mare con gli altri per non abbandonare il suo
Comandante: alla sua memoria sarà conferita la MOVM. Nel
frattempo due nostri bombardieri accorrono in aiuto, attaccando
le unità nemiche ed obbligandole così ad allontanarsi... |
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INCAGLIO PERLA |
Nella cartina è indicato il punto
dove Perla incagliò.
Intanto il STV Vincenzi aveva provveduto a portare il salvo
sulla spiaggia a mezzo di un battellino alcuni uomini, mentre
altri erano riusciti a raggiungere la spiaggia a nuoto mentre
altri purtroppo erano affogati nel tentativo.
Al tramonto i naufraghi si riunirono sulla spiaggia e vengono
inviati a bordo degli uomini per prendere tutto il recuperabile
di acqua minerale e viveri.Dietro richiesta del Comandante,
il GM Gallo intanto organizza una piccola spedizione composta
dagli uomini più validi con il compito di raggiungere, seguendo
la spiaggia il faro di Sciab Sciach, che si presume lontano
circa 7 miglia: il gruppo venne soccorso al mattino del giorno
successivo dal nostro Manin. Intanto gli altri naufraghi, con
l’aiuto di un indigeno raggiunsero la sera del 29 il villaggio
di Sovoità, il più prossimo alla zona dell’incaglio e lì vennero
ritrovati il giorno successivo da una delle spedizioni di
soccorso inviate da Massaua. La stessa spedizione provvide anche
a dare sepoltura ai caduti. Il TV Simoncini che era stato
portato a terra, venne ritrovato morto a bordo del sommergibile:
evidentemente, sentendo approssimarsi la morte aveva voluto
tornare sulla sua nave e lì era morto, aggrappato all’asta della
bandiera.
Sul luogo del sinistro si recò poi il CC Spagone, Comandante
della Flottiglia Sommergibili di Massaua, che eseguì una visita
accurata del battello, stabilì l’entità delle avarie e i mezzi
necessari per mettere in atto le operazioni di recupero.
Il 15 luglio partì da Massaua una spedizione di soccorso (agli
ordini dello stesso C.te Spagone) che, scaricata l’acqua
penetrata nello scafo, chiusi i fori aperti dalle cannonate e
lavorando di notte per sfuggire alla possibile scoperta aerea,
riuscì a rimettere Perla in condizioni di navigare, dopo averlo
convenientemente alleggerito per disincagliarlo.
Il 20 luglio, con Perla a rimorchio, tornavano a Massaua.
Appena giunto alla base, Perla iniziò i lavori di riparazione e
per parecchio tempo non poté più essere operativo.
(Fonte: grupsom.com) |
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UN GRANDE MARINAIO ...FORSE DIMENTICATO |
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AMMIRAGLIO
D'ARMATA
DIEGO SIMONETTI |
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LETTERA
AMMIRAGLIO ANTONIO FIORAVANTE VOLPI |
Giorni fa,
in un convivio tra amici gemonesi,
siamo pervenuti ad una animata ed interessante discussione sui
personaggi illustri del Friuli e in particolare della nostra
zona. Gli interventi sono stati accesi e colmi di particolari e,
per me, non friulano, hanno destato un interesse quasi
maniacale. Gli amanti delle vicende sportive hanno cominciato a
illustrare i molteplici campioni, quali Primo Carnera, Ottavio
Bottecchia, Dino Zoff, Fabio Capello, Enzo Bearzot, Giorgio e
Manuela Di Centa, ecc.ecc. Altri hanno ricordato l’attrice
Adelaide Ristori (1822 – 1906), animata da profondi sentimenti
patriottici, di Cividale del Friuli ed anche Carla Gravina, nata
a Gemona del Friuli nel 1941; ma non solo, il carnico Leonardo
Zanier (Comeglians 1935), considerato il più grande cantore
dell’emigrazione friulana, il grande e mai dimenticato Pier
Paolo Pasolini (1922 – 1975) di madre friulana, di cui
fondamentali furono i suoi soggiorni estivi a Casarsa della
Delizia “vecchio borgo… grigio e immerso nella più sorda
penombra di pioggia, popolata a stento da antiquate figure di
contadini e intronato dal suono senza tempo della campana…”;
inoltre Pier Luigi Cappello (Gemona 1967), abitante a Tricesimo,
considerato l’erede naturale di Pier Paolo Pasolini, il quale ha
vinto i premi Bagutta e Montale. Altri personaggi, più o meno
noti sono stati citati, tra questi l’architetto Raimondo
D’Aronco (Gemona 1857 –San Remo 1932), esponente dello stile
Liberty italiano, che progettò il Palazzo municipale di Udine.
Ma grande è stata la mia meraviglia, allorquando ho citato i
nomi di taluni personaggi, a me molto cari, che gli astanti
ignoravano e che in questa mia riflessione mi sembra corretto
ricordare:
la medaglia d’oro Arrigo Barnaba di Buia che nel 1918 fu
paracadutato oltre le linee austriache, fornendo preziose
informazioni sui reparti nemici dopo la disfatta di Caporetto.
Pensate che in quei tempi in Italia non esistevano paracaduti,
se non 4, solo 4! forniti dalla Gran Bretagna;
la medaglia d’oro Alberto Liuzzi, console generale della
Milizia, nato ad Arta, ma residente a Gemona, morto da eroe nel
1937 durante la guerra civile spagnola ed al quale fu intitolato
un sommergibile. Un suo figlio, ing. Alberto, nato a Gemona e
residente a Roma, ma con una abitazione anche nel nostro paese,
è stato un valente sommergibilista negli anni ’60 e ’70 e in
questi anni nei suoi frequenti soggiorni nella nostra cittadina,
abbiamo avuto l’opportunità di rivederci e frequentarci. L’ing.
Alberto Liuzzi, friulano “doc”, nelle nostre serate salottiere,
mi ha raccontato sprazzi di vita gemonese, nel periodo della sua
adolescenza e nomi come Armellini direttore di una cartiera, il
sindaco Fantoni, l’arciprete Monai mi sono rimasti familiari;
l’Ammiraglio d’Armata Diego Simonetti (Gemona 1865 – Pisa
1926), al quale sono stati intitolati, a Gemona, una piazza ed
uno stadio.
Proprio di questo personaggio mi preme entrare più dettagliamene
nella sua vita di marinaio per apprezzarne sia le rare doti e le
elette virtù, sia per farlo conoscere alle giovani generazioni
del Gemonese, anche se è forse improponibile entrare con
realismo e veridicità nelle tortuosità delle vicende storiche
senza incappare, o scivolare, in intoppi, complicazioni, o
addirittura in pregiudizi, soprattutto quando non è semplice
distinguere tra uomini straordinari, addirittura eroi, e tra
uomini che hanno
agito nella loro vita facendo azioni ordinarie…….in modo
straordinario (emblematico il comportamento di Arrigo Barnaba
che rifiutò la prestigiosa onorificenza, adducendo che l’azione
da lui effettuata era di ordinaria amministrazione).
L’Ammiraglio Diego
Simonetti di Gerolamo e di Vittoria Barnaba (la nota nobile
famiglia di Buja) nasce a Gemona del Friuli il 14 giugno del
1865 e all’età di 15 anni (sic!) entra in Marina e nel 1885 è
già Guardiamarina, percorre tutti i gradi della carriera
militare e nel 1916 è promosso Contrammiraglio, pervenendo al
grado di Ammiraglio di Armata nel 1926. In tutti i gradi della
gerarchia mantenne un profondo ed immutabile sentimento del
dovere, che aveva fatto di Lui una così bella e caratteristica
figura di soldato e di uomo di mare. Nella sua vita di marinaio
aveva preso parte alle campagne di guerra nell’Estremo Oriente
(1901), a quella italo - turca (1911-1912) ed infine alla Grande
Guerra. In quest’ultima si distinse particolarmente tanto da
meritare l’alta onorificenza dell’Ordine Militare di Savoia,
nonché la Croce al Merito di Guerra, con le seguenti rispettive
motivazioni, che meglio di qualunque altro documento varranno ad
illustrare i meriti ed il valore del compianto nostro
Ammiraglio:
“Quale Comandante delle forze navali dislocate nelle acque di
Albania e dell’Alto Epiro concorse efficacemente con ottimi
risultati e con personale intervento alle operazioni svoltesi
dal marzo a tutto l’ottobre 1918 in stretta collaborazione col
comando delle R.R. Truppe, particolarmente distinguendosi nella
organizzazione della difesa di Valona e di vari punti della
costa, nella protezione di numerosi convogli, nelle operazioni
belliche; poi batteva dal mare la Malakastra, nell’occupazione
di Durazzo e nell’appoggio delle truppe in avanzata nella linea
del Mathi. In ogni occasione confermò le sue elette qualità
d’animo e d’intelletto e la sua competenza professionale,
ottenendo con le forze alla sua dipendenza il raggiungimento di
importanti obiettivi militari” (Basso Adriatico, 1915-
1916-1917-1918).
“Quale Comandante di nave all’inizio della guerra in brillanti
operazioni sotto la costa avversaria, ed in seguito destinato ad
alto comando in luoghi sottoposti all’offesa nemica dava prova
in ogni circostanza di virtù militari”. Nella sua prestigiosa
carriera di marinaio ha ottenuto una miriade di onorificenze che
ritengo il caso di non enumerare, tuttavia mi sembra doveroso
ricordare che le Sue
virtù civili e le Sue elette doti d’animo e di cuore apparvero
ancor più manifeste quando, nominato governatore militare e
civile di Corfù, seppe accattivarsi le simpatie dei notabili,
dei partiti e della popolazione della città e dell’isola,
appianando le non poche difficoltà in una
delicata situazione.
E non v’è chi non ricordi l’atto di severa disciplina che lo
portò un giorno, sul ponte di comando di una nostra grande nave
da battaglia, al cospetto di una tormentata città irredenta:
parlo di Fiume e della Reggenza del Carnaro.
Ancora qui a Gemona vi sono persone di una certa anzianità che
ricordano
l’Ammiraglio per i soli
fatti di Fiume, ma, forse, fatti un po’ distorti,
soprattutto per quanto riguarda le sue destinazioni successive;
taluni dicevano che era stato destituito, altri che era stato
destinato in Giappone, invece l’Amm. Simonetti (n.d.r. con
l’aiuto dell’Ufficio Storico della Marina!) successivamente è
stato Comandante in capo della
Piazza marittima di Pola, quindi Comandante in Capo del
Dipartimento Marittimo dello Jonio e del Basso Adriatico ed
infine Comandante in Capo del Dipartimento Marittimo dell’Alto
Tirreno. Per quanto
riguarda i fatti di Fiume, è bene rinverdire un po’ di storia
patria.
Dopo l'armistizio di Villa Giusti del 3 novembre 1918 e la
conclusione del Trattato di pace di Trianon del 4 giugno 1920,
che stabiliva la rinuncia dell'Ungheria a Fiume e ai territori
adiacenti, la situazione internazionale di Fiume, occupata fin
dal 12 settembre 1919 dai legionari di Gabriele D'Annunzio,
subiva diversi mutamenti. Il 12 novembre 1920, infatti, Italia e
Regno serbo-croato-sloveno concludevano il Trattato di Rapallo
che prevedeva la costituzione di Fiume in Stato libero e
indipendente, e il 24 dicembre, il Governo italiano attuava un
intervento militare per provocare la caduta della «Reggenza del
Carnaro» e l'evacuazione del territorio da parte dei legionari
dannunziani. A tale scopo, il Governo
italiano decretava, fra l'altro, il blocco delle coste e delle
isole adiacenti a Fiume. Il 30 novembre 1920, il Comandante in
Capo delle forze navali dell'Alto Adriatico, Simonetti, emanava
infatti un proclama: «Noi, Diego Simonetti, Vice Ammiraglio
Comandante in Capo delle Forze Navali dell'Alto Adriatico, in
seguito agli ordini del Regio Governo impartitici a mezzo di
S.E. il Generale Caviglia, Comandante Generale delle Truppe
della Venezia Giulia ed ai poteri conferitimi, dichiariamo: dal
1° dicembre 1920 alle ore 10 il litorale dello Stato
indipendente di Fiume ed i territori insulari illegalmente
occupati dai Legionari Fiumani sono sottoposti al blocco
effettivo da parte delle Forze Navali ai nostri
ordini….omissis…. L'attraversare dal tramonto all'alba la zona
di blocco a fanali oscurati verrà considerato atto ostile e la
nave verrà affondata senza preavviso. Sarà concesso di giorno
l'approdo nei porti e nelle località comprese nella zona
bloccata alle sole navi debitamente autorizzate che portino
viveri o carbone per la popolazione civile”.
Un primo attacco a Fiume fu sferrato la vigilia di Natale che
D'Annunzio battezzò come il Natale di sangue. Dopo una tregua di
un giorno la battaglia ricominciò il 26 dicembre e vista la
resistenza dei legionari verso mezzogiorno l’Ammiraglio
Simonetti ordinò il bombardamento navale della città da parte
della nave Andrea Doria che proseguì fino al 27 dicembre. Vi
furono alcune decine di morti da entrambe le parti nel corso
degli scontri. Il 28 dicembre D'Annunzio, che rimase anch’egli
leggermente ferito, riunì il Consiglio nazionale, ove si decise
di accettare un incontro con gli emissari del governo italiano e
di accettare i termini del Trattato di Rapallo. Rassegnò
conseguentemente le proprie dimissioni con una lettera fatta
consegnare dal comandante dei legionari.
Il 20 dicembre del 1926 cessava di vivere a Pisa l’Ammiraglio di
Armata Diego Simonetti. La morte lo colpiva, dopo breve ma
dolorosa malattia, sopportata con quella forza e con quella
rassegnazione, che sono retaggio e privilegio delle anime grandi
e buone, mentre ancora sventolava sull’albero maestro
dell’Ammiraglia Conte di Cavour la sua insegna di Comandante in
Capo della nostra Armata.
La sua immatura scomparsa fu pianta con sincero e unanime
cordoglio da tutta la Marina e da quanti ebbero la ventura di
conoscerlo e di apprezzarne le rare doti e le elette virtù. |
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